TRIBUNALE DI VITERBO Il Giudice dell'Esecuzione Ordinanza di rimessione alla Corte costituzionale ai sensi dell'art. 23 della legge 11 marzo 1953, n. 87, nel procedimento R.E. n. 1406/2014 tra Banca Mediolanum S.p.A. rappresentata dagli avv. Fabio Marelli e Sergio Fulco, e Pietro Signorelli (creditrice) contro Moretti Claudio (debitore) e nei confronti di Onoranze Funebri Campanari s.r.l. (terzo pignorato). Letti gli atti della procedura esecutiva di cui alla epigrafe - sciogliendo la riserva presa alla udienza del 15 luglio 2015; Rilevato che il credito della Banca Mediolanum S.p.A. nei confronti di Moretti Claudio, in virtu' di decreto ingiuntivo 24167/13 del Giudice di Pace di Milano rg 29486/13 del 24 aprile 2013, ammonta in base al precetto notificato in data 12 marzo 2015 ad € 6.053,48; Rilevato che il terzo ha reso dichiarazione positiva del suo obbligo di corrispondere al debitore mensilmente lo stipendio di € 600,00 mensili nette comprensive di assegni familiari per € 136,54. Alla udienza del 15 luglio 2015 il creditore chiedeva l'assegnazione nel limite di legge di 1/5 dello stipendio netto, mentre il debitore con nota scritta, chiedeva al tribunale di applicare il regime di impignorabilita' del minimo vitale (espressamente previsto solo per le pensioni); Rilevato che deve applicarsi il regime di pignorabilita' degli stipendi ed altri emolumenti riguardanti il rapporto di lavoro; Ritenuto che si debba tenere conto dell'ulteriore limite imposto dall'art. 2 comma 2 e dall'art. 68 decreto del Presidente della Repubblica 5 gennaio 1950 n. 180 per cui, in caso di concorso tra cessioni volontarie e successivi pignoramenti, la pignorabilita' della quota residua e' soggetta al solo limite della meta' ivi stabilito, che non sempre e' idoneo a garantire un minimo vitale; Ritenuto che si debba tenere conto altresi' del decreto del Presidente della Repubblica 30 maggio 1955 n. 797 art. 22 «Art. 6 R.D.L. 17 giugno 1937, n. 1048. Gli assegni familiari non possono essere sequestrati, pignorati o ceduti se non per causa di alimenti a favore di coloro per i quali gli assegni sono corrisposti» che prevede la impignorabilita' degli assegni familiari, pertanto la parte pignorabile dello stipendio e' di € 600 - 136,54 = 463,46. Rilevato che in base all'art. 545 cpc «Tali somme possono essere pignorate nella misura di un quinto per i tributi dovuti allo Stato, alle province ed ai comuni, ed in eguale misura per ogni altro credito» Ritenuto che, da tali disposizioni, nel caso di specie, si ricava che lo stipendio e' pignorabile fino ad 1/5, e che un quinto della parte pignorabile dello stipendio ammonta ad € 92,69, per cui resterebbero al debitore € 370,66 (€ 463,36 - 92,69 per pignoramento = 370,66 ) per la sua sopravvivenza (non risultando agli atti che abbia altre fonti di sostentamento), oltre che per quella della sua famiglia, atteso che non e' pensabile che la famiglia possa sostentarsi con € 136,54 di assegni familiari. Rilevato che nel decreto-legge n. 16/2012 (cd. «decreto Semplificazioni») convertito in legge n. 44/2012 l'art. 3, comma 5, che ha aggiunto, nel decreto del Presidente della Repubblica n. 602/1973, in materia di pignoramento presso terzi disposto dall'agente della riscossione per i tributi dovuti allo Stato (in tema di pignoramenti Equitalia) l'art. 72-ter, recante il titolo «Limiti di pignorabilita'», secondo il quale: «Le somme dovute a titolo di stipendio, di salario o di altre indennita' relative al rapporto di lavoro o di impiego, comprese quelle dovute a causa di licenziamento, possono essere pignorate dall'agente della riscossione: a) in misura pari ad 1/10 per importi fino a 2.500,00 euro; b) in misura pari ad 1/7 per importi da 2.500,00 a 5.000,00 euro». «Resta ferma la misura di cui all'art. 545, comma 4, codice procedura civile, se le somme dovute a titolo di stipendio, di salario o di altre indennita' relative al rapporto di lavoro o di impiego, comprese quelle dovute a causa di licenziamento, superano i cinquemila euro». Rilevato che, la somma di 370,66 che resterebbe al debitore dedotto un quinto del suo stipendio (al netto degli assegni familiari), appare al di sotto del minimo indispensabile ad un essere umano che lavora per sostentarsi, tenuto conto anche del fatto che deve provvedere al mantenimento della famiglia (per la quale, come si e' argomentato, non bastano certo gli assegni familiari). Tenuto conto che il lavoratore, per produrre quel reddito deve comunque sostenere delle spese (per mangiare, vestirsi, recarsi sul luogo di lavoro etc.), per cui e' impensabile che senza un reddito minimo il lavoratore possa comunque prestare la sua opera; Rilevato che, nella ipotesi di pignoramento della pensione, la Corte costituzionale con la nota sentenza 4 dicembre 2002, n. 506 in merito alla questione di legittimita' costituzionale sollevata relativamente all'art. 128 del regio decreto-legge 4 ottobre 1935, n. 1827, art. 69 della legge 30 aprile 1969, n. 153, afferma la pignorabilita' per ogni credito, nei modi e nei limiti stabiliti dall'art. 545 c.p.c., solo di quella parte della pensione che non sia necessaria a garantire al pensionato i «mezzi adeguati alle sue esigenze di vita», Rilevato che, in relazione alle pensioni, la soglia minima impignorabile e' stata di recente determinata dal legislatore, con decreto-legge 83/2015 in vigore dal 27 giugno 2015 art. 13 comma 1 lettera 1) convertito con legge 29 luglio 2014, n. 106 che ha indicato la parte assolutamente impignorabile della pensione nell'ammontare della «misura massima mensile dell'assegno sociale aumentato della meta'», disponendo che solo la parte eccedente tale ammontare sia soggetta a pignoramento nei limiti previsti dal terzo, quarto e quinto comma dell'art. 545 codice procedura civile; Ritenuto che il trattamento previsto per l'assegno sociale attualmente risulta (s.e.) di € 448,52 euro per 13 mensilita', per cui il limite di impignorabilita' e' stato individuato dal legislatore in 672,78 mensili ritenuto dallo stesso legislatore, un importo minimo vitale. Che la nuova normativa, per espressa disposizione di legge risulta applicabile alle procedure esecutive iniziate dopo l'entrata in vigore della stessa (art. 23 comma 6 decreto-legge 83/2015) e quindi dopo il 27 giugno 2015; Che, prima della entrata in vigore della nuova legge, l'entita' del minimo impignorabile non era ancora stata definita dal legislatore ma era stata individuata dalla giurisprudenza che aveva ritenuto trattarsi di questione di merito rimessa alla valutazione del Giudice della esecuzione (cfr. Cassazione n. 6548/11 confermata da Cassazione III civ. 18755/2013). Rilevato che tale limite, costituente garanzia di un minimo assolutamente impignorabile e' stato determinato dalla giurisprudenza con riferimento prevalente ai parametri della pensione sociale o del trattamento minimo di cui alla legge n. 488 del 2001, art. 38, commi 1 e 5 e della legge n. 289 del 2002, art. 39, comma 8. Rilevato che l'importo del minimo vitale definito dal legislatore per i trattamenti pensionistici e' superiore allo stipendio percepito dal debitore, per la sua prestazione lavorativa che, comunque, lo impegna quotidianamente e che, tale stipendio, appare ai limiti della mera sussistenza; Rilevato che il pensionato, essendo ritirato dal lavoro non deve farsi carico delle spese necessarie a produrre il proprio reddito, mentre il lavoratore si presuppone che debba recarsi sul luogo di lavoro, vestirsi in modo adeguato alla funzione svolta, utilizzare energie anche fisiche che richiedono una alimentazione piu' ricca di chi e' a riposo, e quindi sostenere delle spese indispensabili alla produzione di un reddito, oltre a quelle necessarie per la mera sopravvivenza (nutrirsi, coprirsi, riscaldarsi, assicurarsi un alloggio etc), Ritenuto che anche per il lavoratore debba essere individuato un minimo vitale indispensabile e non pignorabile, che non possa essere distolto dalla funzione primaria del salario, che e' quella appunto di consentire la sopravvivenza e l'utilizzo delle proprie capacita' lavorative a chi abbia come sola risorsa il proprio lavoro; Ritenuto che, se la retribuzione venisse ridotta al di sotto di quel minimo vitale indispensabile alla sopravvivenza, oltre a determinarsi effetti negativi per tutto il tessuto sociale (ad es. il lavoratore sarebbe spinto ad orientarsi verso il mercato del lavoro irregolare, non potrebbe far fronte ai propri obblighi nei confronti della famiglia, sarebbe spinto a comportamenti illegali etc), ne risulterebbe violato il precetto costituzionale di cui all'art. 36 Cost. che prevede che la retribuzione debba essere «in ogni caso sufficiente ad assicurare a se' ed alla famiglia una esistenza libera e dignitosa», oltre ai precetti di cui agli articoli 1, 2, 3, 4 Cost. Rilevato che nella sentenza 4 dicembre 2002, n. 506 la Corte ha ritenuto di confermare il precedente orientamento espresso, secondo cui aveva sempre respinto la questione di legittimita' costituzionale, in relazione all'art. 36 Cost., dell'art. 545, quarto comma, cod. proc. civ., nella parte in cui non prevede l'impignorabilita' della quota di retribuzione necessaria al mantenimento del debitore e della famiglia (sentenza n. 20 del 1968; sentenza n. 38 del 1970; sentenza n. 102 del 1974; sentenza n. 209 del 1975; ordinanza n. 12 del 1977; ordinanza n. 260 del 1987; ordinanza n. 491 del 1987; sentenza n. 434 del 1997), Che in tale sentenza si e' ritenuto che l'art. 36 Cost. - indica parametri ai quali deve conformarsi l'entita' della retribuzione, ma nei rapporti lavoratore-datore di lavoro, senza che ne scaturisca, quindi, vincolo alcuno per terzi estranei a tale rapporto, oltre quello - frutto di razionale «contemperamento dell'interesse del creditore con quello del debitore che percepisca uno stipendio» (sentenze n. 20 del 1968 e 38 del 1970) - del limite del quinto della retribuzione quale possibile oggetto di pignoramento. Che tale pronuncia nel riportarsi alle precedenti, si pone in un contesto economico e sociale nonche' normativo ben diverso da quello attuale, sia per quanto riguarda le modifiche normative introdotte sul regime delle pensioni e dei contratti di lavoro, sia per i mutamenti della giurisprudenza che sempre piu' e' andata nel senso di riconoscere identita' di funzioni allo stipendio ed alla pensione, sia per i dati fattuali relativi alle potenzialita' di lavorare e di produrre reddito a cui una persona puo' aspirare, dato che la nostra societa' sta attraversando una crisi economica senza precedenti, ritenuta da molti esperti anche peggiore della grande crisi del 1929, situazione che determina un generalizzato impoverimento dei lavoratori dovuto alla esiguita' degli stipendi, ai mancati adeguamenti alla inflazione, alla perdita di potere di acquisto dei salari e degli stipendi in generale, etc.. Che tali mutati fattori economici fanno si' che, anche nel caso di specie, in mancanza di prova contraria, si debba ritenere che l'unico reddito su cui il debitore possa far conto per la sua sopravvivenza sia quello modestissimo sottoposto a pignoramento; Che, nel tempo, la sostanziale identita' di funzione della pensione e della retribuzione o salario e' stata riconosciuta sempre piu' spesso dalla giurisprudenza, anche in applicazione di norme internazionali ed europee, per cui appare necessario un ripensamento del complesso contesto normativo nell'ambito del quale si e' affermata la suddetta giurisprudenza, anche alla luce della nuova normativa in tema di pignoramenti per crediti tributari dello Stato (decreto-legge n. 16/2012 cd. «decreto Semplificazioni» convertito in legge n. 44/2012 l'art. 3, comma 5, che ha aggiunto, nel decreto del Presidente della Repubblica n. 602/1973 l'art. 72-ter, recante il titolo «Limiti di pignorabilita'»; Che nel contesto economico-sociale attuale, con i livelli di disoccupazione ormai raggiunti in Italia, con la crisi economica che si e' determinata negli ultimi anni, le retribuzioni ed i salari minimi (per lavori spesso precari) come quello percepito dal debitore sono gia' ai limiti della sussistenza; Che non appare piu' frutto di un razionale «contemperamento dell'interesse del creditore con quello del debitore che percepisca uno stipendio» consentire il pignoramento della retribuzione, seppure nel limite di un quinto, destinata in modo essenziale ed imprescindibile a garantire la sopravvivenza fisica del lavoratore e la sua possibilita' di svolgere le sue prestazioni lavorative sopportando i costi necessari a produrre la sua forza lavoro. Che, in caso di applicazione alla fattispecie oggetto del presente giudizio del limite indicato dall'art. 72-ter decreto del Presidente della Repubblica 602/1973, introdotto con decreto-legge n. 16/2012 (cd. «decreto Semplificazioni») convertito in legge n. 44/2012 l'art. 3, comma 5, essendo la somma dovuta a titolo di stipendio inferiore ad € 2.500,00 mensili, la stessa sarebbe pignorabile nel limite di un decimo e non di un quinto; Che lo stesso legislatore che e' intervenuto nella materia dei pignoramenti per crediti tributari ha avuto presente ed ha tenuto in considerazione l'attuale congiuntura economica ed il diverso contesto normativo. Osserva Che sussistono seri dubbi sulla legittimita' costituzionale dell'art. 545 IV comma cpc, nella parte in cui con riferimento alle «somme dovute dai privati a titolo di stipendio, di salario o altre indennita' relative al rapporto di lavoro o di impiego comprese quelle dovute a causa di licenziamento» indicate nel II comma, prevede che: «Tali somme possono essere pignorate nella misura di un quinto per i tributi dovuti allo Stato, alle province ed ai comuni, ed in eguale misura per ogni altro credito» e non prevede invece un minimo impignorabile necessario a garantire al lavoratore «mezzi adeguati alle sue esigenze di vita», ed una retribuzione «in ogni caso sufficiente ad assicurare a se' ed alla famiglia una esistenza libera e dignitosa» con particolare riferimento alle esigenze di un reddito minimo che gli consenta di sostenere le sue spese minime necessarie al suo stesso sostentamento in vita ed in condizioni di vita adeguate a consentirgli la stessa produzione del reddito. E, in subordine che sussistono seri dubbi sulla legittimita' costituzionale dell'art. 545 IV comma cpc, nella parte in cui con riferimento alle «somme dovute dai privati a titolo di stipendio, di salario o altre indennita' relative al rapporto di lavoro o di impiego comprese quelle dovute a causa di licenziamento» indicate nel II comma, prevede che: «Tali somme possono essere pignorate nella misura di un quinto per i tributi dovuti allo Stato, alle province ed ai comuni, ed in eguale misura per ogni altro credito» e non prevede invece, conformemente a quanto previsto dal decreto-legge n. 16/2012 cd. «decreto Semplificazioni» convertito in legge n. 44/2012 l'art. 3, comma 5, che ha aggiunto, nel decreto del Presidente della Repubblica n. 602/1973 l'art. 72-ter, recante il titolo «Limiti di pignorabilita'», che le soglie di pignorabilita' siano le medesime di quelle indicate dalla legge in materia di tributi e che quindi debbano essere graduate a seconda dell'ammontare della retribuzione come indicato dall'art. 72-ter decreto del Presidente della Repubblica 602/73 come recentemente modificato: a) in misura pari ad 1/10 per importi fino a 2.500,00 euro; b) in misura pari ad 1/7 per importi da 2.500,00 a 5.000,00 euro». «Resta ferma la misura di cui all'art. 545, comma 4, codice procedura civile, se le somme dovute a titolo di stipendio, di salario o di altre indennita' relative al rapporto di lavoro o di impiego, comprese quelle dovute a causa di licenziamento, superano i cinquemila euro». Detta disposizione appare in contrasto con gli articoli 1, 2, 3 e 36, della Costituzione; In relazione all'art. 1 della Carta Costituzionale che afferma che la Repubblica e' «fondata sul lavoro», all'art. 2 che riconosce e garantisce i diritti inviolabili dell'uomo e richiede l'adempimento dei doveri inderogabili di solidarieta' politica, economica e sociale, all'art. 3 che sancisce il principio di eguaglianza formale e sostanziale ed il principio di ragionevolezza, all'art. 4 che riconosce le garantisce il diritto al lavoro e il dovere di ogni cittadino di svolgere una attivita' o funzione che concorra al progresso materiale e spirituale della societa', all'art. 36 che prevede che la retribuzione deve essere non solo commisurata alla quantita' e qualita' del lavoro prestato, ma anche che deve essere "in ogni caso sufficiente ad assicurare a se' ed alla famiglia una esistenza libera a dignitosa». Al cittadino lavoratore deve essere garantito che il frutto del suo lavoro, cioe' il suo stipendio o salario, sia destinato almeno nei limiti del minimo indispensabile, al soddisfacimento delle esigenze primarie di sopravvivenza sue e della famiglia, diversamente ne risulterebbe violata sia la dignita' del lavoro come fondamento stesso della Repubblica, sia il diritto al lavoro (in quanto lavorare puo' diventare economicamente non conveniente), sia il diritto a che la retribuzione percepita sia «in ogni caso sufficiente ad assicurare a se' ed alla famiglia una esistenza libera a dignitosa». Il principio di uguaglianza e di ragionevolezza (art. 3) risulta violato in relazione al diverso trattamento che riguarda il pensionato, il quale, non prestando piu' attivita' lavorativa riceve una tutela della propria pensione (che puo' essere vista anche come una retribuzione differita) diversa e maggiore di quella che riceve un lavoratore attivo, il quale ha ancora piu' necessita' di vedere tutelato un limite vitale di sopravvivenza oltre il quale suo stipendio non puo' essere assoggettato a pignoramento. Tale differenza, avuto riguardo ai cambiamenti intervenuti nel contesto normativo, nella giurisprudenza, nel tessuto sociale, nella economia, non appare piu' giustificata da alcun principio di ragionevolezza. Il principio di uguaglianza risulta anche violato in relazione al diverso trattamento che riceve il debitore a seconda del credito per cui si procede. Se il credito e' erariale, paradossalmente il debitore risulta maggiormente tutelato, quando invece le ragioni di interesse pubblico e di quadro normativo di riferimento dovrebbero giustificare, al contrario, un miglior trattamento dei crediti erariali rispetto a quelli comuni. Questo remittente noia ignora le precedenti pronunce della Corte costituzionale ma ritiene che i profili sollevati in motivazione in relazione alla prima questione: riguardante la impignorabilita' assoluta di un minimo vitale dello stipendio, rivestano carattere di novita'; e' nuova la questione relativa al diverso e deteriore trattamento dei crediti erariali (regolati dall'art. 72-ter decreto del Presidente della Repubblica 602/1973) rispetto ai crediti comuni, inoltre il quadro normativo e quello socio economico di riferimento, sono talmente cambiati da rivestire caratteri di novita' e differenza rispetto alle questioni gia' sottoposte al vaglio della Corte. La questione e' rilevante nel giudizio in corso ai fini della decisione - adottabile anche ex officio - sulla impignorabilita' assoluta delle somme pignorate o sulla quantificazione dell'importo che puo' essere assegnato alla creditrice (1/5 o 1/10). Questo G.E. ha gia' rimesso a Codesta Corte analoga questione relativa al procedimento n. 572/14.